Solo trenta chilometri dividono Novara da Parabiago, le città di Giuseppe Saronni e Libero Ferrario che nei loro allenamenti avranno condiviso strade e magnifici scorci sulle risaie.
Ma che li accomuna è stata anche una “fucilata”, quella che consacrò il Beppe nazionale ai mondiali di Goodwood nel 1982, e quella trionfante di Libero ai mondiali dilettanti di Zurigo nel 1923 quando sbaragliò avversari importanti e nazionali agguerrite.
Come possiamo leggere nella cronaca de LA STAMPA di Torino:
“La lotta fu vivacissima fra la squadra francese e quella italiana che rimase a un certo punto leggermente staccata. Impressionante fu la volata di Ferrario che benché mal piazzato sul rettilineo d’arrivo, vinse per ben tre macchine.”
Questo probabilmente, anche grazie alla scelta azzeccata della squadra italiana sui rapporti da adottare, a differenza dell’équipe francese, come racconta André Leducq nella sua biografia:
“Bizzarro questo campionato. Essendoci sul percorso da Zurigo a Bale e ritorno il severo strappo di Brug, decidemmo d’adottare un rapporto di 46 x 18, che sviluppa 5,36 m., mentre i nostri avversari, gli svizzeri in testa, optarono per il 46 x 14 con 6,90 m. di sviluppo.
Ruinart (direttore del loro Vélo Club Lavellois, la mitica fucina parigina di campioni francesi) alzò le spalle con commiserazione: “Andate, li ridicolizzerete!”.
Sul percorso d’andata, da Zurigo a Bale, col vento in faccia, ci sembrò, in effetti, di avere la situazione in mano. Un italiano, Magnotti, era scappato, ma io lo raggiunsi e lo superai.
Arrivato poi a un passaggio a livello chiuso, cercai di saltarlo, ma la guardia si oppose, quelle cose non si fanno in Svizzera… Dovetti quindi percorrere la passerella sopra ai binari salendo le scale con la bici sulle spalle e camminare lungo il corridoio e vidi Magnotti che vi entrava mentre io ne uscivo.
Ripartii, ma sul percorso di ritorno da Bale a Zurigo, i nostri avversari con il forte vento favorevole approfittarono del loro 46 x 14 mentre noi francesi perdevamo il fiato mulinando il nostro 46 x 18 diventato ridicolo.
Ero ancora solo in testa a venti chilometri dall’arrivo e il mio compagno Souchard seguiva in un piccolo gruppo guidato dallo Svizzero Antenen, rinforzato dall’aria di casa. Achille (Souchard) fece di tutto per cercare di confonderlo passandogli davanti per rompere il ritmo, ma l’altro, un colosso, lo scartava rapidamente. Achille utilizzò quindi un’altra tattica, la parola, dato che la nostra squadra riceveva delle eccellenti lezioni di dialettica dal nostro “padre” Ruinart.
Ma già che uno svizzero non capisce in fretta, quando decide di fare anche le orecchie da mercante, è un problema.
Antenen continuò a macinare come tre svizzeri normali e io venni raggiunto a cinque chilometri dall’arrivo raggruppandoci e permettendo a un italiano che non avevo mai visto lungo il percorso, di vincere lo sprint. Noi non siamo esistiti nel finale. Il nostro maestro Ruinart si era perso nelle moltipliche. Nessuno è infallibile.”
Altri particolari sulla vittoria dell’italiano li leggiamo sulla cronaca del più autorevole giornale francese, L’Auto:
“Sette metri e 3 cm è lo sviluppo della bicicletta dell’italiano Ferrario che ha trionfato in volata. Il vincitore, un atleta alto, biondo e riccio, dalle gambe superbe e il torace atletico, è caduto due volte in corsa. “Ho una moltiplica troppo grande e vado troppo veloce” ci disse mentre ci passava vicino.
L’abbiamo visto recuperare due volte sui capolista, l’ultima a 15 chilometri dall’arrivo.”
Nel bell’articolo di Le Miroir des Sports leggiamo ancora:
“Il titolo di Campione del Mondo che spesso è attribuito al vincitore di una prova che solo lontanamente rappresenta il migliore campione mondiale, conserva invece qui tutto il suo valore. L’America, l’Australia, il Sudafrica e il Canada hanno preso sabato alle 10, la partenza al Campionato del Mondo per la prima volta dopo la guerra e per la prima volta da sempre, poiché non esisteva prima del 1914, i corridori tedeschi, austriaci, e ungheresi si allineavano a lato dei francesi, dei belgi, degli italiani e degli inglesi.
“Noi abbiamo messo le castagne sul fuoco e gli altri le hanno mangiate” diceva alla sera il francese Souchard.
Ed è curioso rimarcare che Ferrario, atleta biondo di ventitrè anni, costruito alla Faber e in cui si riponevano, giustamente, tutte le speranze dell’Italia, era, all’inizio seriamente in difficoltà.
Seguiva Souchard sulla rampa di Brug e passando accanto alla nostra vettura gridò al mio vicino italiano: “quello andava troppo forte sulla salita e poi io ho un rapporto troppo lungo!”, ma è stato questo rapporto troppo lungo che l’ha fatto penare all’andata con il vento contrario e la pioggia, ad avvantaggiarlo al ritorno con il vento dietro e il bel tempo.
Questa prova splendida ed emozionante di tornanti, salite, curve secche su un percorso molto duro a un’andatura da record, è finita banalmente allo sprint dove chi ha saputo spingere il rapporto più grande ha vinto facilmente.”
Mentre Souchard sarà più volte Campione nazionale su strada e a cronometro, Dédé, riuscirà a fare suo il titolo mondiale l’anno seguente a Parigi (ma non le Olimpiadi anch’esse a Parigi, vinte dal compagno Blanchonnet) e a vincere in seguito due Tour de France, il primo nel 1930, lo stesso anno nel quale Libero Ferrario perderà la gara contro la tisi e se ne andrà a soli 28 anni.
Per la cronaca, la classifica di quella giornata fu stilata così:
1 LIBERO FERRARIO (Italia) che ha coperto i 164 km in 5 h. e 25’ a 32, 7 km di media.
2 Echenberger (Svizzera)
3 Antenen (Svizzera)
4 Magnotti (Italia)
5 Souchard (Francia)
6 Leducq (Francia)
7 Valazza (Italia)
8 Wambst (Francia)
9 Ciaccheri (Italia)
10 Senn (Svizzera)