Tra pochi giorni parte da Firenze il Tour edizione 111°. In onore di Gino Bartali e ricorrendo i 110 anni dalla nascita, ci è sembrato opportuno ricordare il grande corridore toscano con il più noto componimento musicale a lui dedicato.Paolo Conte ben 45 anni fa (1979) immortalava l’epopea del ciclismo italiano in una sintesi mirabile di poco più di due minuti, un’epitome di colore in musica. Allora erano ancora vivi molti dei protagonisti del Tour 1948 e, raccontava Vittorio Seghezzi, “maglia nera” di quella corsa, come ogni volta sentiva gli accordi e “il rumore che fa il cellofan” aveva modo di assaporare il gusto della polvere del caucciù e il peso del sudore che aveva vissuto.Un uomo seduto sopra un paracarro alle prese con i suoi pensieri si trasfigura nella silenziosa solitudine della strada interrotta dal passaggio cadenzato dei veicoli della carovana ciclistica. Quante volte siamo andati sulle salite per vedere i corridori! In salita si capiscono meglio: la fatica li rallenta, il fiato corto li muta in maschere contratte. Questa volta l’ambiente è particolare: è la Francia dell’immediato dopoguerra dove, grazie alle imprese del nostro ciclismo, stavamo riacquistando quella credibilità che i “cugini”, dopo la “coltellata alla schiena”, ci avevano precluso. Gli italiani che da anni erano catalogati, più o meno simpaticamente come “macaroni”, venivano guardati con sospetto e cattiveria e questa cattiveria si spostava anche sulle strade del Tour .Ma anche qui l’ambiente si sublima nuovamente e ci porta in una epoca senza tempo. Bartali diventa il simbolo assoluto dell’attesa di ciò che deve arrivare, dell’attesa di colui che spunterà dalla curva impolverata. Quella polvere che ti entra nei sandali, che non fa rima con Bartali ma fa rima con la precarietà di una condizione ai bordi della strada. E l’italiano in Francia, povero ma orgoglioso di avere un tricolore tra le mani e un corridore nel cuore, per una volta tanto riceve il rispetto dei “cugini” che soffrono non poco a causa della condizione di fortunato connazionale del capoclassifica che compare dopo la curva preceduto da un naso che è garanzia di meravigliose qualità atletiche.Ma per ogni uomo che ama il ciclismo c’è sempre una donna a cui poco importa: se viene in Francia, non capisce come bisogna muoversi sulle strade impolverate, ovvero con tanta pazienza e senza esigenze particolari. La donna allora si sente autorizzata a chiedere di andare via, di lasciare le strade bianche per la città, magari al cinema. E allora ecco lo sbotto: “… e vai al cine… vacci tu”. Ma, attenzione, le donne possono anche accampare la scusa di aver voglia “di far la pipì”… Anatema…! Sacrilegio! Si sta qui finchè non passa l’ultimo corridore e se necessita si aspetta sera con la campagna intorno che si colora di blu e abbaia. Ma la chiosa migliore è dedicata ai francesi che non sono per niente contenti che abbia prevalso Bartali e che l’indomani i giornali saranno costretti a darne la notizia. La musica, ed è impensabile immaginarne una diversa, è una “marcetta” bandistica scritta in 4/4 (col “tagliato” che in pratica diventa un 2/2) intercalata da un zazzarazà scanzonato eseguibile anche col kazoo. Poca cosa; ma è il complesso di cose, di colori e di situazioni che fa di questa composizione un capolavoro, uno dei tanti del più elegante e colto cantautore italiano e, conoscendo bene le sue “poesie in musica”, non corriamo il rischio di essere blasfemi se la sua ricca produzione letteraria fosse proposta per la candidatura al Premio Nobel. D’altra parte il riconoscimento fu anche attribuito a Bob Dylan… Nessuno si scandalizzò e, certamente, nessuno dei due scrive canzonette…
Carlo Delfino